Ricordo bene quella notte, quella in cui compii 21 anni. Ero appena tornato a casa da una delle feste di compleanno più belle di sempre. Avevo organizzato una serata in discoteca con piscina. Non c’è bisogno di dirlo: prima di mezzanotte ero già finito in acqua con metà degli invitati, e i miei vestiti nuovi di Calvin Klein, che mia madre mi aveva regalato, erano completamente rovinati dall’eccessiva esposizione al cloro.
Avevo caricato “Breathe” dei Télépopmusik sul mio lettore CD e, alle quattro di notte, mi ritrovai a riflettere sulla vita che scorreva, su quello che avevo fatto e su quello che volevo fare ed essere. Ricordo chiaramente una vocina, in fondo alla mia mente… una voce che non volevo ascoltare e alla quale mi dissi: “No, a questa cosa non darò mai spazio, non farà mai parte di me!”. Decisi di ignorarla, pensando che così sarei stato come tutti gli altri.
In quel periodo frequentavo diverse ragazze all’università, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava. Guardavo le persone intorno a me che iniziavano relazioni, si baciavano ed erano felici. Anch’io, all’inizio, mi sentivo bene, ma quando le cose cominciavano a diventare serie, fuggivo. Anzi, a dire il vero, scappavo proprio a gambe levate.
Nella vita ho sempre avuto la strana sensazione di essere un po’ un osservatore. Vedevo gli altri costruire legami ed essere felici, e mi sentivo come l’osservatrice nel quadro “Dance in the Country” di Renoir. Vi è mai capitato di osservare una coppia felice e chiedervi: “Chissà quando toccherà a me?” o “Chissà cosa si prova?”. Ecco, la mia vita in quegli anni potrebbe essere raccontata così: un eterno aspettare di diventare il protagonista della mia stessa storia. Non fraintendetemi, sono estroverso e ho sempre avuto facilità a legare con le persone. Sono stato rappresentante di classe, di istituto, ho fondato club, fatto il PR… eppure (ora lo so) era come se non mi conoscessi davvero.
Dunque, dicevamo… Attorno ai 25 anni smisi di frequentare le ragazze dell’università. Avevo capito che c’era qualcosa che non faceva per me, ma mi dicevo che il problema era solo che non avevo ancora incontrato “quella giusta”. In realtà, il problema ero io: ero il prodotto di anni di educazione cattolica, parenti conservatori e dell’ignavia veneta. Per chi non lo sapesse, il Veneto è un po’ il Texas d’Italia, densamente popolato e pieno di gente piuttosto chiusa di mente, che si crede intelligente solo perché parla per luoghi comuni o alza la voce per imporre la propria, sterile, opinione. Insomma, il posto peggiore per essere “diversi”.
Tra i 25 e i 30 anni iniziai a lavorare e a esplorare l’Italia e il mondo. Ricordo che scrivevo moltissimo, soprattutto nei blog, e che incontravo facilmente persone, ovunque mi trovassi. Scoprivo aspetti di me attraverso gli altri e, scrivendo, cercavo di mettere ordine nei miei pensieri. Mi accorgevo che le mie attenzioni cadevano molto più spesso sui corpi scolpiti degli uomini che sulle forme femminili. Ero una sorta di asceta, affamato di curiosità ma casto e puro nell’animo.
Poi, i 30 anni segnarono per me un momento di svolta (per fortuna). Sentivo che dovevo dare una scossa alla mia vita e alla mia carriera, così decisi di trasferirmi a Dubai, senza conoscere nessuno. Questa esperienza, che all’inizio mi sembrava difficile e complessa, si rivelò invece una vera e propria manna dal cielo. Non conoscendomi nessuno, scoprii ben presto di essere completamente libero di essere chiunque avessi voluto.
Sì, proprio a Dubai, dove l’omosessualità è illegale, scoprii chi ero, cosa volevo e cosa mi piaceva. Ma questa è un’altra storia, perché i quattro anni passati a Dubai rappresentano una rinascita e un cambiamento così profondo che meriterebbero un articolo a parte.
A volte mi chiedo chi sarei oggi se non fosse stato per quell’esperienza. Lì ho potuto amare, frequentare chi volevo, conoscere persone da tutto il mondo e sì, anche fare sesso con persone da tutto il mondo, miracolosamente senza prendere nessuna malattia sessualmente trasmissibile. Ma il punto è un altro. Tornato in Veneto, mi ritrovo nuovamente circondato da persone che “si nascondono”. Capisco perché lo fanno, ma vedo anche come continuano a rovinarsi la vita, privandosi della felicità che ciascuno di noi merita, solo per salvare una reputazione inutile.
Uno dei momenti più tristi che ho vissuto di recente è stato quando una persona a cui ho voluto molto bene mi ha detto: “Sai, mi sono innamorato di questo ragazzo, anche lui è bisex.” Ho pensato alla sua lista di 120 contatti maschili (in continua crescita) nel portale di incontri in cui ci siamo conosciuti, e ho avuto l’ennesima conferma che la morale comune rende più socialmente accettabile per lui una relazione con un altro uomo bisex (anche se entrambi sono tutt’altro dai diciamocelo) piuttosto che con me, dichiaratamente gay. Ci saranno stati anche altri motivi, non lo nego, e probabilmente non gli piacevo abbastanza, ma il punto è che c’è chi si crogiola in queste etichette, e che tutti noi siamo incatenati in un gioco fatto di lussuria e paure mal gestite.
Quando dissi a mia madre che non ero proprio etero, lei mi rispose: “Hai gestito tutto questo da solo, non dev’essere stato facile.”
Eh no, non lo è stato. A volte avrei voluto gestire meglio la situazione, avrei voluto essere meno condizionato dall’ambiente che mi circondava, avrei voluto essere più sicuro di me stesso. E nel contempo mi chiedo: chi mi restituirà mai il tempo trascorso? Tutti quegli anni difficili, passati a capire chi ero? Chi ridarà il tempo a tutte quelle persone che, ancora oggi, ad un passo dall’amore, ad un passo dalla felicità, rinunciano, per paura di essere giudicate da una società ancora immatura? Provo un po’ di pena per tutti coloro che ancora si nascondono, ma che provano, provano ad uscire e diventare qualcun altro.
Mi rivolgo quindi a chi oggi non ha ancora capito come “liberarsi” dalle costrizioni che la vita impone.
È vero, siamo umani e amiamo stare in gruppo, ma dobbiamo prima di tutto capire chi siamo. Se c’è una piccola sensazione, un piccolo dubbio che ti dice che ti piacciono le persone del tuo stesso sesso, sappi che non è una cosa che puoi ignorare. Prima o poi la vita ti chiederà di fare i conti con chi sei stato. Il miglior consiglio che posso darti, da qualcuno che ci è passato, è che il tempo che passa non te lo restituirà nessuno. Usa bene il tempo che hai a disposizione, usalo per te, per andare in profondità. Alla fine, quando ne sarai uscito, l’unica rabbia che proverai sarà per tutto il tempo che hai perso a guardare gli altri essere felici.
COLONNA SONORA: If I ever feel better – Phoenix